08/03/2004 – I giudici chiamati a pronunciarsi su questioni attinenti l’applicazione della Legge sul condono nelle regioni che non si sono ancora espresse sullo stesso, ritengono applicabile la legge nazionale (in particolare ordinanza del TAR Sardegna ordinanza n. 13 del 3 febbraio 2004 e sentenza del Consiglio di Stato 17/2/04 n. 602). Questo significherebbe che, al di là degli aspetti specifici trattati dalle sentenze citate, anche per tutti gli altri aspetti inerenti il condono e la sanatoria di opere edili abusive, si può fare riferimento alla normativa nazionale, in assenza di specifica regolamentazione regionale. In tal senso i cittadini potrebbero presentare domanda di condono in tutte le Regioni italiane che non hanno legiferato specificamente in materia, semplicemente attenendosi a quanto previsto dalla Legge nazionale. Da quando è stato emanato il decreto legge 269/03 sul condono edilizio poi convertito in legge 326/03 si è creata una situazione di grande incertezza normativa legata alla necessità che le Regioni dovessero recepire la legge nazionale, con apposita legge regionale indicando eventualmente, anche delle disposizioni differenti, integrative o modificative, per il proprio territorio, rispetto a quelle indicate dallo Stato. Questo in attuazione della competenza concorrente fra lo Stato e le Regioni così come prevede l’art. 117 della Costituzione. In termini semplici “competenza concorrente” significa che lo Stato nell’ambito dei suoi disegni programmatici redige la norma che contiene i principi generali della manovra che intende realizzare, in questo caso il condono, e alle Regioni spetta il compito di adeguare le disposizioni al proprio territorio. Allo stato attuale, a più di 4 mesi dalla entrata in vigore della legge sul condono, solo alcune Regioni si sono pronunciate sullo stesso indicando con proprie leggi i criteri e i requisiti per poterne usufruire. Nell’ambito delle Regioni che non si sono pronunciate sul condono, quale norma è applicabile? E’ ammissibile che i cittadini di queste Regioni siano esclusi da una manovra che invece riguarda tutto il territorio nazionale perché la regione ha omesso di collaborare e di esprimersi? Non si verrebbe a creare in questo caso una violazione del principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione fra i cittadini che hanno potuto usufruire di questa iniziativa e quelli a cui è stato impedito? Partiamo dal motivo per il quale il Governo ha dato il via a questa iniziativa. E’ facile comprendere che il condono rientra in un più ampio disegno che è quello della finanza pubblica statale per cui il condono non è altro che un mezzo di cui si serve lo Stato per realizzare dei proventi che incidano positivamente nel bilancio dello Stato. Da questa premessa i proventi finanziari che lo Stato si attende da questa manovra non costituiscono solo la conseguenza della manovra stessa ma lo stesso principio ispiratore. La scelta del legislatore non è stata quella di sanare gli abusi, accettando le conseguenze finanziarie, ma quella di procurarsi le risorse finanziarie subendo gli effetti del condono ( TAR Sardegna ordinanza n. 13 del 3 febbraio 2004). Inoltre se la materia del condono è di competenza concorrente, quella della finanza invece è materia di competenza esclusiva dello Stato. Tra l’altro stabilire i confini delle competenze in situazioni così complesse non sempre risulta facile perché non sempre è possibile scindere le norme dai loro singoli effetti così da ottenere un netto e preciso riparto delle competenze in ragione delle materie. Premesso questo, preme sapere qual'è la conseguenza della “invasione di campo” da parte dello Stato nelle competenze della Regione (sempre che questa si sia realizzata) e soprattutto qual è la conseguenza della mancata collaborazione delle Regioni. Ossia in questi casi la legge è inapplicabile o no? O per riportare il problema al nostro dibattito, la legge sul condono 269/03 si applica o no anche in assenza del recepimento regionale? In primo luogo la Costituzione indica come conseguenza alla invasione di campo (della competenza) dello Stato nei confronti delle Regioni, la possibilità che la Regioni promuovano questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale e non già la inapplicabilità della legge. Inoltre il breve termine di 60 giorni che la legge aveva accordato alle regioni per recepire il condono era comunque indicativo dell’esigenza che la legge fosse comunque applicabile, infatti non è possibile che una situazione di incertezza normativa si prolunghi a danno della fiducia che i cittadini ripongono nella volontà del Parlamento. Inoltre va considerato il principio della leale collaborazione fra Stato e Regioni di cui all’art. 120 della Costituzione, che non può essere disatteso se una Regione, impedisse risultati di carattere economico finanziario che lo Stato intende perseguire in un più generale disegno di risanamento delle finanze pubbliche. Vi è inoltre la considerazione che la Regione che impedisce con il proprio silenzio o con il rifiuto di accettare le domande dei cittadini e di applicare la legge statale, non solo non realizzerebbe la collaborazione ma si sottrarrebbe al dovere di lealtà. Sulla base di questi presupposti l’atto di rifiuto della istanza di applicazione della legge sul condono promossa dal cittadino potrebbe essere impugnata di fronte alle competenti autorità giurisdizionali perché si accerti la inerzia degli uffici regionali e si dia conseguentemente applicazione alla legge statale.
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