PARIGI - Li chiamano «i retrobottega dell'odio». Sono i siti e i forum di Internet che ospitano offese e discorsi razzisti. I bersagli preferiti? Gli arabi-musulmani, gli ebrei e, più recentemente, gli americani. La Commissione nazionale consultativa dei diritti dell'Uomo (Cncdh) ha presentato due rapporti sul razzismo e Internet, in occasione della conferenza internazionale che l'Ocse, martedì scorso, ha tenuto sul tema a Parigi. I DUE RAPPORTI PRESENTATI ALL'OCSE - Entrambi i rapporti sono stati realizzati dal Movimento contro il razzismo e per l'amicizia tra i popoli (Mrap). Il primo si è occupato di 334 gruppi di discussione francofoni aperti sulla rete Usenet tra il 1993 e il 2004, mentre il secondo ha analizzato 68 siti più recenti, che per il 76,5% hanno, al massimo, tre anni di vita. La maggior parte dei siti skinheads apparsi in rete prima del 2000 sono scomparsi, ma anche se le leggi francesi riescono ad ostacolarli, molto spesso i siti francofoni razzisti riescono a ricostituirsi. E' questa la storia di Sos-Racaille, sito di estrema destra costretto alla chiusura nel luglio 2003, ma presto rinato, con successo, attraverso una quindicina di nuovi indirizzi. Identica avventurosa esistenza per una lunga serie di siti nazionalisti, integralisti cristiani, skinheads, radicalisti islamici, negazionisti e estremisti ebrei. LE DIVISIONI TRA USA E EUROPA - La lotta al «cyber-razzismo», come ha dimostrato la conferenza dell'Ocse, trova schierati su posizioni diverse europei e americani. Entrambi concordano nel definire Internet uno «straordinario strumento» dell'intolleranza, come ha affermato il ministro degli Esteri di Parigi Michel Barnier, ma poi i primi si dichiarano favorevoli ad una regolamentazione di Internet, mentre i secondi difendono una libertà d'espressione totale. Gli europei sono capeggiati dalla stessa Francia, che ha già adottato misure per combattere il fenomeno. «In Francia crediamo che ci sia una chiara relazione tra la propaganda razzista, xenofoba e antisemita da una parte, e i crimini d'odio dall'altra», ha detto Barnier, secondo il quale «non è la libertà d'espressione ad essere messa in causa, ma l'incitamento agli atti violenti». Se la Francia spinge per una forte collaborazione internazionale, giustificata dal fatto che «Internet non ha frontiere», Dan Bryant, rappresentante del dipartimento americano della Giustizia, giudica «erronea» la pista della regolamentazione: «Il governo americano non interdirà o limiterà dei discorsi solo in ragione delle idee che veicolano, o semplicemente perchè le disapprova». LA SPERANZA DI UN ACCORDO - Gli europei insistono e non disperano. Un diplomatico del vecchio continente prevede: «Dal momento che sempre più siti razzisti si spingono al limite del terrorismo, gli Stati Uniti finiranno forse per accettare una certa regolamentazione».
Articolo tratto dal sito del corriere della sera
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